Lingue e dialetti, lo Stato nemico dell’identità

20 Marzo 2020
Lettura 3 min

di Giovanni Polli – Le lingue dei popoli e dei territori: non un retaggio del passato ma un investimento per il futuro
Le lingue locali, ancorché in grave pericolo, anche nel sentire comune appaiono oggi sempre più come un valore del presente e del futuro, e non più come un mero retaggio del passato. Basti solo un esempio: le produzioni artistiche in lingua locale, in particolare quelle musicali, oggi sono un veicolo formidabile di identità e di consapevolezza anche e soprattutto rivolto alle generazioni più giovani. Senza il cui interesse non c’è futuro per le nostre lingue, e quindi per la coscienza dei nostri popoli di essere popoli e non un semplice agglomerato di individui senza identità, o annegati in un’identità artificiale e priva di radici.


L’esempio più evidente di successo di questo percorso viene dalla Catalunya: qui nessun indipendentista, o semplicemente anche nessun autonomista fiscale catalano, si sognerebbe mai di prescindere dalla rivendicazione piena ed indiscutibile dei diritti linguistici della sua comunità. E dal suo essere innanzitutto catalano e non spagnolo, pur avendo ufficialmente la cittadinanza dello Stato con capitale Madrid.
Con una metafora facilmente comprensibile, la lingua e l’identità di un popolo, di cui la lingua è l’elemento caratteristico e costitutivo principale, possono essere paragonati ad un’automobile.

La forza socio-economica di una comunità territoriale è invece il carburante. E perché un popolo si possa mettere in movimento verso le proprie autoaffermazione ed autodeterminazione sono indispensabili entrambi. Sia l’automobile che il carburante. Senza automobile, cioè la lingua e l’identità proprie, un popolo, nel nostro caso l’insieme dei popoli padani, non si riconoscerà mai come popolo a sé stante, ma resterà confinato nel concetto di “parte produttiva” di uno Stato. Aridi numeri senz’anima. Se esiste soltanto il carburante, cioè la forza socioeconomica attuale o, una volta liberatisi dai vincoli di Stato, quella futura, senza riaffermazioni dei diritti identitari e linguistici territoriali – e quindi senza automobile – il popolo non portrà riconoscersi come tale, e quindi non potrà mai partire per quel viaggio verso la libertà che vorremmo tutti intraprendere.


Chi sostiene che i nostri siano semplici “dialetti” privi di prestigio e di forza si sbaglia, e di grosso. Un errore quasi sempre compiuto in mala fede. L’Atlante interattivo delle Lingue in Pericolo dell’Unesco, curato dal professor Christopher Moseley, riconosce come tali tutte le lingue regionali padane. Piemontese, Lombardo, Veneto, Ligure, Friulano, Emiliano e Romagnolo. Come è noto, ciascuna di queste – già dotata o più spesso non ancora dotata di una propria koinè letteraria o standardizzazione regionale – è poi articolata, come è noto, in una serie di varianti (o “dialetti”) riconducibili scientificamente a ciascuna lingua regionale. Naturalmente, l’Atlante Unesco censisce e anche le lingue delle piccole minoranze: ladino, walser, resiano, cimbro, mocheno, francoprovenzale, occitano o provenzale alpino…


Ma già nel 1981, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa approvava un documento, il “Rapporto Cirici”, documento 4745/81, che riconosceva tra le varie lingue regionali o minoritarie d’Europa la lingua piemontese, il lombardo (qui denominato “meneghino”) e il veneto come idiomi distinti dall’italiano.


Oggi, il sistema di codifica internazionale Iso attribuisce codici identificativi propri alle lingue piemontese, lombarda, veneta…
Lo Stato italiano, viceversa, in evidente spregio ai censimenti delle più importanti istituzioni internazionali delle quali a parole si professa sostenitore, in spregio allo stesso suo articolo 6 della Costituzione ed alle volontà esplicite ed ufficialmente comunicate di alcuni Consigli regionali spesso a maggioranza allargata e trasversale, continua a manifestare un’attitudine ben diversa.

Sulla base di presunte ed obsolete tesi politiche spacciate per tesi linguistiche, attraverso l’infausta e peraltro inapplicata legge 482 del 1999 riconosce e si prefigge di tutelare unicamente – nei territori padano alpini – la lingua friulana, l’occitano, il franco-provenzale e le parlate germaniche (walser, cimbro, mocheno), includendo erroneamente, tra l’altro, il resiano nell’ambito della lingua slovena.


Il riconoscimento e la tutela di tutte le lingue in pericolo, regionali o minoritarie, effettivamente parlate dai popoli padani, e l’applicazione piena ed incondizionata a loro favore dei principi della Carta europea delle Lingue regionali o minoritarie, che prevedono l’istituzione di fatto del bilinguismo, nelle scuole, nella Pubblica amministrazione, nell’amministrazione della Giustizia, nell’editoria tradizionale, nelle radio e tv pubblici e nei nuovi media, sono quindi obiettivi da perseguire e da raggiungere in tempo utile prima della definitiva loro estinzione.

Un percorso da compiere sulla scorta di quanto già da molto tempo avviene in Europa laddove i principi dei diritti fondamentali dei popoli siano già stati riconosciuti e rispettati, quasi sempre dopo lotte talvolta molto aspre tra comunità territoriali e Stati centrali di appartenenza politica. (2/continua)

Photo by Surendran MP

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
La Nuova Padania, quotidiano online del Nord.
Hosting: Stefania Piazzo

Newsletter

Iscriviti alla nostra Newsletter!

Servizio Precedente

Bloccate tutto! Il veicolo di contagio sono quelli al parco o i 5 lombardi su 10 costretti ad andare a lavorare, magari sui mezzi?

Prossimo Servizio

Aggiornamenti sulle misteriose rotte di velivoli sopra la Pianura Padana durante il blocco aereo

Ultime notizie su Cultura

TornaSu

Don't Miss