L’autonomista valdostano Emile Chanoux fu ucciso dai fascisti. Il libro verità

18 Giugno 2020
Lettura 2 min

di Roberto Gremmo – Nel 1944 l’autonomista Chanoux è stato assassinato nel carcere di Aosta dai fascisti.

Il mattino del 19 maggio 1944 il notaio Emile Chanoux, capo riconosciuto dell’autonomismo valdostano, veniva trovato morto impiccato nella cella del carcere di Aosta dove l’avevano rinchiuso i poliziotti fascisti. Veniva subito diffusa la voce che si era suicidato ma uno studio storico-scientifico edito in questi giorni dimostra che in realtà Chanoux venne massacrato di botte e che la macabra esposizione del suo cadavere era solo una sinistra mess’in scena.

Autori della ricerca dal titolo “Emile Chanoux non fu suicidio” (pag. 160, edito da Tipografia Valdostana e Musumeci) sono lo storico Leo Sandro Di Tommaso e il divulgatore cinematografico Patrizio Vichi, due intellettuali coraggiosi e indipendenti che hanno scavato per anni fra montagne di documenti d’archivio e passato al setaccio le tante (spesso addomesticate) testimonianze dell’epoca ed alla fine, interpellando autorevoli specialisti di medicina legale, si sono detti certi di poter dimostrare che il patriota valdostano non si sarebbe tolto la vita ma sarebbe stato vittima della cieca violenza degli sgherri del Duce.

Posso dire con un certo orgoglio che il primo mattoncino su cui hanno certosinamente costruito la loro inchiesta Di Tommaso e Vichi l’ho messo proprio io, nell’ormai lontano 2010 quando lavoravo al libro “Alle spalle di Chanoux – Separatisti e autonomisti nella Resistenza valdostana” e con un vero e proprio fortunato colpo giornalistico nei polverosi faldoni processuali dell’Archivio di Stato di Torino avevo rinvenuto due foto scattate da un mai identificato agente di Polizia al cadavere di Chanoux ancora appeso alle sbarre della finestra del carcere. Ottenuta la dovuta autorizzazione, le pubblicai entrambi nel libro.

Facendo esaminare da gente esperta quelle istantanee che si credevano perdute e su cui molto s’era favoleggiato ad Aosta, i due studiosi hanno concluso che la particolare posizione dei piedi ed i segni sul collo non erano compatibili con un atto suicidiario e che la morte era probabile conseguenza di violenze e di brutalità dei suoi carcerieri.

Questa tesi è stata autorevolmente confermata dalle diverse perizie fatta eseguire a diversi esperti ben qualificati.

In quella richiesta nel 2018 da Di Tommaso e Vichi al professor Giorgio Bolino del Dipartimento di Medicina Legale dell’Università “La Sapienza” di Roma l’autorevole clinico si è detto convinto che la morte “sia intervenuta per fatto omicidiario, con sospensione di un corpo privo di sensi ovvero con sospensione di un cadavere ucciso mediante uno strangolamento con dinamica atipica e simulante il solco dell’impiccamento”.

Le conclusioni della ricerca sembrano chiare e definitive: la tesi suicidiaria è un castello di sabbia, costruito dai poliziotti fascisti per occultare il loro crimine.

La verità, tanti anni dopo si è fatta strada, come evidenti e senza possibilità di equivoco risultano le vere posizioni politiche del povero notaio assassinato che anche per essere stato membro della “Commissione d’Armistizio con la Francia” conosceva bene e rifiutava il centralismo endemico di Parigi.

Quando venne arrestato, gli furono sequestrati una copia della “Dichiarazione dei Popolo Alpini” redatta con altri autonomisti delle Valli Valdesi a dicembre ed un regolamento dei “Patrioti Alpini Valdostani” che provano la sua volontà di lottare contro i nazi-fascisti ma solo per far nascere a guerra finita un Cantone come quelli della vicina Confederazione Elvetica, un sistema di governo basato sulle tradizioni di autogoverno delle nostre montagne.

Forse fu proprio per queste scomode posizioni che il suo delatore, mai scoperto, lo volle vendere a quei fascisti che, come dimostra il libro di Vichi e Di Tommaso, dovevano vigliaccamente eliminarlo.

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