La propaganda antiromana dei partigiani del movimento “Milan ai Milanès” nel 1945

12 Settembre 2020
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di Roberto Gremmo – Volevano la Repubblica e l’autonomia del Nord. I partigiani del movimento “Milan ai Milanès” erano attivi nel dopoguerra lombardo e non avevano né esitazioni né dubbi, ma furono neutralizzati da una durissima repressione dei carabinieri che li misero nelle condizioni di non nuocere.

Di questo singolare movimento popolare, minuscolo numericamente ma importante per le idee manifestate, ci siamo già occupati in passato sul numero 31 di “Storia Ribelle” pubblicando il materiale archivistico (va da sé, inedito) che abbiamo rintracciato all’Archivio Centrale dello Stato.

Si tratta d’un rapporto riservato del comando dei Carabinieri di Milano che il 1 settembre 1945 dava conto dell’operazione di polizia con cui gli uomini dell’Arma avevano fatto irruzione in un appartamento di via Petrella dove aveva sede la sedicente cooperativa di trasporti “a beneficio dei Partigiani delle Brigate Matteotti” denominata, non casualmente, “La Nordica”.

Nel corso della retata venne “rinvenuto ingente materiale propagandistico a stampa e dattilografia, nonchè recentisssimi rapporti sulla situazione militare di vari reparti dell’Esercito (dislocazione, armamento, colore politico), rilievi topografici delle due più importanti caserme dell’Arma e della P.S. della Città, schemi di centri di azione militare (ignorasi se già costituite) nella Città di Milano, relazioni su inchieste per situazioni politiche in nome del settentrione e su propaganda svolta. Numerosi gli attacchi violenti all’Arma, le frasi sobillatrici ad una rivolta armata, gli incitamenti contro il Governo di Roma”.

Il testo di questi proclami merita davvero d’essere conosciuto, soprattutto perche anticipa di molti anni una tematica che ha poi avuto grande fortuna dichiarando che “Bisogna togliere all’Italia lavoratrice il cancro dell’oltre appennino di quella terra che vi ha data la delizia dei profughi, delle brigate nere, delle ausiliarie, ecc.

LAVORATORI

E’ Roma che succhia e succhierà sempre il vostro sangue come per il passato. Nessun governo potrà fare il vostro interesse, finchè la sede del Governo saà Roma, perchè ROMA E’ MARCIA FINO AL MIDOLLO perchè A ROMA SI MANGIA E NON SI VUOLE LAVORARE”.

Oltre a questi manifestini, di per sé pericolosi, i carabinieri scoprirono nell’appartamento ed in cantina un deposito con diciotto bombe a mano, tre pistole, quindici moschetti, un fucile modello ‘91, due mitra e molte cartucce oltre ad “alcuni bauli (evidentemente sequestrati) contenenti effetti di biancheria ed argenteria”.

Quello del “Milan ai Milanès” non era un episodio isolato, ma l’espressione del forte disagio che provavano molti partigiani per un dopoguerra di presunta ‘liberazione’ che non aveva cambiato niente nell’Italia dove i ceti popolari continuavano a tirare la cinghia ed i privilegiati coi milioni in tasca seguitavano a farsi gli affari loro, con la complicità della nuova ‘nomemklatura’ partitocratica.

Malgrado il ‘pompieraggio’ dei partiti di Nenni e Togliatti, il malcontento represso di chi era salito in montagna sperando in un mondo nuovo doveva trasformarsi in ribellione aperta poche settimane dopo la nascita (truffaldina) della Repubblica quando gruppi di partigiani si diedero nuovamente alla macchia, mettendo in grossa difficoltà il nuovo governo democratico.

Il 20 agosto 1946, con un pretesto, i ‘Garibaldini’ di Asti occuparono, armi alla mano, la località di Santa Libera capeggiati da Armando Valpreda detto “Dino Cinelli” e Giovanni Rocca detto “Primo” che era stato il comandante della formazione “Stella Rossa”; un’organizzazione autonoma che non va confusa con quella dallo stesso nome che operava a Torino finché non venne dissolta dopo l’uccisione col colpo alla nuca del suo capo, il vecchio massone Temistocle Vaccarella.

La rivolta partigiana dell’astigiano di estese a macchia d’olio in mezza Italia, fu un moto spontaneo e sincero che, come documentato nel libro “L’ultima Resistenza”, doveva avere nuovo slancio quando nel Biellese trovò un coraggioso e spregiudicato vessillifero nel comunista libertario Carlo Andreoni,

A bloccare con ogni mezzo la protesta, scesero in campo i caporioni del P.C.I. (soprattutto quelli della cosìdetta ‘ala militarista’, impegnati a tempo pieno in un subdolo pompieraggio) e fu per il paternalismo dei Secchia e dei Moscatelli e l’azione repressiva della Polizia voluta dal sottosegretario alla guerra Moranino che doveva fallire il generoso tentativo di non mandare in soffitta i migliori ideali della lotta di liberazione.

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