di Stefania Piazzo – Igiene. Bonifica. Regole. Smettere di rincorrere la lepre. Se avessi avuto una penna in mano, seduta al tavolo, avrei voluto nel più profondo prendere appunti per scrivere sui tovaglioli, o sul bordo di un polsino della camicia, come faceva quel genio di Stravinsky quando coglieva al volo le melodie chiave delle sue opere. Erano nate così la Sagra, o Petruska. Appunti, spunti tra la gente, nei mercati, nei risvolti popolari della quotidianità. Qui, però, si tratta di fare un’opera corale che faccia sistema, per convocare la filiera della comunicazione e il braccio legislativo dello Stato. Per smettere di inseguire i (social) media selvatici.
Questa lunga e poco giornalistica premessa introduce alla memoria della serata e alla cena alla quale ho partecipato, ospite di Ruben Razzante, giornalista, collega, amico, scrittore, docente di diritto dell’informazione, diritto europeo e regole della comunicazione d’impresa all’Università Cattolica di Milano, docente di diritto dell’informazione al master di giornalismo all’Università Lumsa di Roma.
FACCIAMO FILIERA – Mi aveva allertata mesi fa, il prof. Razzante. “Tieniti libera – mi aveva detto – Uscirà il mio ultimo libro, “I (social) media che vorrei”, per i tipi della FrancoAngeli. E così è stato. In una serata tra la terra bagnata e il cielo variabile di Milano ci si è ritrovati in tanti (180, ndr) al Meilà, dietro il cuore della Fiera storica ambrosiana.
Un botto di relatori chiave. Giusto per quel discorso di indicare – da attori dell’informazione declinati in diverse specializzazioni – un perimetro non più affannato di igiene digitale, tutela dei diritti, innovazione tecnologica, che è poi il “sottopancia” del titolo del volume dove si incontrano le firme della multimedialità, quelle che sono anche intervenute nella serata, coautori con altri del libro. Ovvero il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’Innovazione, on. Alessio Butti, Roberto Natale, direttore Rai per la Sostenibilità, e poi Gina Nieri, direttore divisione Affari Istituzionali, Legali e Analisi strategiche di Mediaset, Flavio Arzarello, Economic and Regulatory Policy Manager Meta, Vincenzo Melilli, responsabile Design Law Department Bugnion spa, Claudio Bassoli, presidente e amministratore delegato Hewlett Packard Enterprise Italia. A moderare Antonio Palmieri, fondatore e presidente della Fondazione Pensiero Solido.
PIUME DI CUSCINO – Ruben parla di “piume di cuscino strappato”, per rappresentare le suggestioni e i difficili punti di equilibrio tra innovazione e regole. Nel mezzo ci sono i cittadini, e la catena di produzione e distribuzione dei contenuti che scrolliamo da mattina a sera. Non è solo algocrazia, c’è molto di più. C’è l’intelligenza artificiale, c’è il metaverso che apre una nuova era dell’antropocene tecnologico, c’è la democrazia degli Stati in crisi, c’è il tema della rappresentanza che cerca riferimenti in cui identificarsi e c’è la dimensione in 3D che col metaverso ci proietterà in una immersività senza confini.
POLITICA NON PIU’ OLOGRAMMA – La politica non può essere un ologramma in questa evoluzione dell’umanità. Da qui il richiamo che il prof. Razzante fa a chi ha gli strumenti per legiferare, non tanto per ingabbiare quanto per fissare i principi etici della nuova comunicazione, perché a governare le nuove tecnologie non siano “poteri globali”, sovranazionali, ma i principi costituzionali che ciascun Stato ha fissato come garanzia di democrazia, in un controbilanciamento di poteri per il bene comune.
TRA BENE COMUNE E DEEPFAKE – I (social) media sono un bene comune, come finalità e come strumento di benessere, di civiltà, a patto che questo ecosistema di economia digitale abbia un’anima, una mente umana a moderarne le opportunità di progresso per l’umanità.
Regole nuove, regole da preservare, si legge nel libro. La consapevolezza dei cittadini, le fonti delle notizie, il diritto alla qualità non sono beni barattabili. Il pluralismo non è la giungla di offerte del deepfake. E non può, l’editoria, si ricorda nella raccolta di interventi nel volume, non avere una visione europea di regole, altrimenti si torna ai “piccoli stati”, divisi nel fronteggiare un “imperatore” globale che fa “stato” a sè, anche senza i governi. Senza averne bisogno.
IL LAVORO E’ ARTIGIANALE – Alla fine, per quanto il dizionario tecnico del nuovi media arricchisca la scorrevolissima lettura con preziosi contributi, tutto riporta al punto di origine, al punto di partenza. E cioè che la storia è iniziata con la scrittura, e che l’artigianalità dei contenuti, giornalistici, ipermediatici o ipersocial, e la loro vita economica sono riconducibili alla manualità intellettuale. L’opacità del sistema che crea consenso dentro le autostrade della rete, ha solo un anticorpo, il buon giornalismo, il buon editore, la buona economia, il buon sistema di regolazione degli attori del web. Un buon governo. La cultura.
LA SOFFERENZA DIGITALE – Poi c’è l’aspetto dei dati. Un “poi” assoluto e non relativo, perché la sfida parte da qui. Una sconfinata “anagrafe” digitale è il fiume carsico sotto il quale camminiamo nell’interazione quotidiana, tracciati, schedati, monitorati. E, con un altro “poi”, c’è il divario nella connessione. Chi troppo e chi niente, e nella via di mezzo c’è anche la scarsa coscienza critica, di competenza e conoscenza, per discernere “il bene dal male” nella bulimia delle informazioni. Un capitolo del libro parla, opportunamente, di sofferenza digitale, così come di contrasto ai crimini informatici e, nel contempo, di una turbolenza dei sistemi editoriali in un ring dove arrivano tiri mancini, dove non sai più dove sia la proprietà intellettuale, che tipo di diritto all’immagine o all’oblio regoli la rete. Nel mezzo c’è il servizio pubblico, che è un paradigma dello sviluppo sostenibile in rete.
ALLA PRESENTAZIONE – Il prof. Ruben Razzante accoglie il direttore de la Nuova Padania, Stefania Piazzo
SERVE EUROPEISMO DIGITALE – La necessità di intervenire è chiara a tutti. Ma la differenza la faranno sempre gli artigiani della comunicazione, nella veste di comunicatori, informatori, politici, giornalisti, uomini di legge e di Stato. Il pallino è in mano loro. Ruben inserisce il proprio contributo a fine volume, a tirar quasi le somme del discorso, quando passa l’oste a portare il conto. Lo titola così: Il “decalogo” dei (social) media che vorrei. Attenti all’infocrazia, dice, il dominio dell’informazione che si spaccia per libertà. Ed ecco il punto: far crescere l’europeismo anche nella sfera digitale. L’Europa dei popoli, politica, non può solo emettere regolamenti e regole di bilancio. I capitoletti “Trasparenza e demonetizzazione nel contrasto alle fake news” o “Colmare il gap culturale e quello infrastrutturale”, così come “Intelligenza artificiale utile se fa crescere l’umanesimo digitale”, sono da incorniciare.
IL LIBRO A SCUOLA, PER FAVORE – A nostro modesto parere questo testo dovrebbe affiancare nelle scuole i libri di storia, matematica, latino, agronomia, inglese… Se chi governa ha coraggio, se il ministero dell’Istruzione, se gli editori, le reti tv, le testate e se l’Ordine dei Giornalisti vogliono essere protagonisti di questo crinale di cultura della prevenzione e del progresso da diffondere, si facciano portavoce seriamente per rendere curricolare dalle medie alle superiori la lettura di testi come questo. Tanto da diventare noi la lepre, e il sistema più grande di noi quello che ci rincorre senza prenderci. Grazie, Ruben Razzante.