La gabola dei ‘Senatori di diritto’ del 1948

16 Agosto 2020
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di Roberto Gremmo – Sconfitti alle elezioni politiche del 18 aprile 1948, i partiti del “Fronte Democratico Popolare” ebbero una specie di rivincita politica con l’assegnazione dei “Senatori di diritto”, una concessione assegnava con criteri discutibli un gran numero di seggi parlamentari.
Come stabilito dalla Terza disposizione transitoria e finale della Costituzione, alcune persone vennero nominate membri del Senato nel caso avessero questi requisiti: essere stati Presidenti del Consiglio o Senatori del Regno prima del fascismo; essere stato eletto deputato almeno tre volte, essere stato dichiarato decaduto dalla carica nella famosa seduta del 9 novembre 1926 che apriva le porte alla dittatura e, infine, norma molto controversa, aver scontato una condanna non inferiore ai cinque anni per una condanna del “Tribunale Speciale”.


In questo modo, venivano nominati bel 106 senatori, molti appartenenti alla vecchia classe politica del notabilato ma non pochi membri del P.C.I. e del P.S.I. che avevano appena perso le elezioni e che vedevano entrare in Parlamento parecchi loro uomini.


A esultare per la decisione era ovviamente “l’Unità” che esaltava l’ingresso in Parlamento di “45 valorosi antifascisti del Fronte” che ottenevano il seggio non per via elettorale ma “per l’energia dimostrata e le sofferenze patite nella ventennale lotta contro il regime di tirrania fascista”.


In effetti, con la norma firmata da De Nicola mentre venivano nominati appena 18 senatori che dovevano aderire al gruppo della “Democrazia Cristiana”, 5 a quello Liberale, 6 al gruppo misto ed altri 14 indipendenti appartenenti prima del Fascismo a varie formazioni borghesi, facevano la parte del leone, i nuovi parlamentari di Sinistra.


Quelli del P.C.I. erano ben 31 e fra loro non mancavano personaggi di primo piano: Luigi Allegato, Vittorio Bardini, Adele Bei, Aladino Bibolotti, Renato Bitossi, Ilio Bosi, Arturo Colombi, Edoardo D’Onofrio, Giovanni Farina, Armando Fedeli, Umberto Fiore, Vittorio Flecchia, Vittorio Ghidetti, Ruggero Grieco, Francesco Leone, Girolamo Li Causi, Fabrizio Maffi, Enrico Minio, Guido Molinelli, Cino Moscatelli, Eugenio Musolino, Celeste Negarville, Giacomo Pellegrini, Riccardo Ravagnan, Giuseppe Rossi, Giovanni Roveda, Mauro Scoccimarro, Pietro Secchia, Emilio Sereni, Velio Spano ed Umberto Terracini.


I socialisti erano 11: Francesco Buffoni, Giovanni Cosattini, Michele Giua, Emidio Lombardi, Pietro Mancini, Rodolfo Morandi, Tito Oro Nobili, Sandro Pertini, Antonio Priolo, Giuseppe Romita e Tommaso Tonello.
Fuori dal “Fronte” c’erano poi i socialisti democratici Alessandro Bocconi, Giuseppe Canepa, Emilio Canevari, Ludovico D’Aragona, Eduardo Di Giovanni, Giuseppe Filippini, Nino Mazzoni, Riccardo Momigliano, Luigi Montemartini, Giovanni Persico, Giuseppe Piemonte, Francesco Zanardi ed Adolfo Zerboglio.


A questi si aggiungevano Emilio Lussu e Pietro Mastino del “Partito Sardo d’Azione”; Enrico Molè e Dante Veroni dell’ex “Partito Democratico del Lavoro” ed i repubblicani Giovanni Conti, Cipriano Fachinetti, Cino Macrelli, Ferruccio Parri e Carlo Sforza.


Con una decisione arbitraria, dovuta al timore di permettere una tribuna ad un autentico rivoluzionario, veniva escluso dal beneficio l’esponente del “Partito Comunista Internazionalista” Onorato Damen che pure era stato uno dei deputati fatti decadere dal Fascismo ma anche molti antifascisti condannati a lunghe pene dal Tribunale Speciale non godevano del privilegio. Basti pensare, per fare un esempio, a Mammolo Zamboni ed a Virginia Tabarroni che erano stati condannati per il fallito attentato bolognese a Mussolini.


La nomina opinabile di questi 106 senatori vanificò il risultato uscito qualche giorno prima dalle urne, perché senza la loro presenza la D.C avrebbe avuto da sola la maggioranza con 131 seggi sui 237 elettivi mentre fu costretta a costituire una coalizione governativa con liberali, socialdemocratici e repubblicani.
Ma i togliattiani ebbero un consistente numero di parlamentari.

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