INTERVISTA A GIUSEPPE PARINI – Neanche fosse il vaiolo! Non si possono tenere per così lungo tempo i ragazzi a casa da scuola

24 Maggio 2020
Lettura 4 min

di Laura Aresi – Non capita tutti i giorni di intervistare Giuseppe Parini: il turbamento di fronte ad una delle più belle figure della poesia padana di sempre, nonché icona magistrale, è difficile da contenere.

Maestro Parini, posso chiamarla così? Innanzitutto buon compleanno, anche se in ritardo: perché lei è nato il 23 maggio del 1729, ricordo bene?

«Rammenta benissimo, Gentile Signora: e molte grazie per la sua cortesia che non merito. «Mi anticipava di voler parlare di scuola…»

(Parini è un uomo garbato e di una fine bellezza virile. Si è presentato all’appuntamento abbigliato dignitosamente ma senza sfarzo, come lo si incontra salendo la scalinata braidense: è leggermente claudicante, cosa che ne accresce il fascino, e porta con sé un registro di classe).

Le spiego in breve. Sa, di questi tempi l’istruzione italiana non naviga in buone acque… E’ scoppiata da qualche mese una pandemia che, fra le altre cose, ha fatto chiudere le scuole dalla fine di febbraio: e ancora non si sa se il Ministero deciderà di riaprirle a settembre, vincolato da un commissariamento tecnico sanitario bell’e buono e dalla pressione dei sindacati, benché nel resto dell’Europa si stiano già sperimentando formule di rientro in presenza. In buona sostanza pare che sia al vaglio una riforma per trasformare in prassi una situazione di emergenza, vale a dire l’utilizzo della cosiddetta didattica a distanza condotta per via telematica. Lei cosa ne pensa? (se sia anacronismo parlare di digitale ad un uomo del secolo dei Lumi, che tutto previdero o quasi, al momento non è il primo dei nostri problemi, né l’argomento sembra turbare il nostro interlocutore).

«Sì, mi è giunta voce. Bene, io penso che sia un accadimento inaudito, e peraltro cosa molto grave abbandonare le famiglie a se stesse, e i fanciulli alla mercé del dispiacere di non frequentare lo sguardo dei coetanei e del loro pedagogo; oltre al fatto che, legati alle mollezze delle loro dimore e agli orari scanditi dalle comodità potrebbero in maniera molto perigliosa rassomigliare al mio Giovin Signore… si ricorda i primi versi del Giorno? “Come ingannar questi nojosi e lenti/ Giorni di vita, cui sì lungo tedio/ E fastidio insoffribile accompagna/ Or io t’insegnerò”.

Ma sa, Maestro, i ragazzi in realtà stanno lavorando, e molto… si impegnano… (tossisco imbarazzata). Certo, chiusi in casa, alla mercé dei genitori, dei fratelli, lontani dall’ambiente naturale della formazione scolastica… insomma, qualche distrazione devono pur concedersela. Non è proprio come andare a scuola, la didattica a distanza (il Precettor di amabil Rito mi osserva in silenzio per un paio di minuti, dopodiché parte l’affondo.

«La didattica a distanza, mi scusi, è davvero un’aberrazione. (La voce improvvisamente si fa impetuosa, il tono caldo e appassionato come l’abbiamo conosciuto nei versi più vibranti delle Odi, ndr). Sono stato precettore privato e poi insegnante di scuola pubblica alle nascenti Scuole Palatine nella mia Milano: il germe della futura Brera. Vivevo anzi lì, in un appartamento decoroso offertomi dal governo austriaco. Perché per me l’insegnamento è sempre stata la mia naturale dimensione, i miei allievi la famiglia che non ho mai potuto avere avendo scelto ufficialmente una vita di voti. E quanto ho pianto, mi perdoni, pianto di gioia quando il mio Carlo Imbonati – sì, proprio quello del Manzoni – che quel giorno compiva undici anni mi è saltato al collo, guarito dal terribile morbo, immaginandomi nei panni del centauro Chirone che porta in groppa Achille ad apprendere l’arte del futuro eroe?». (Scorre sulle gote una lacrima di nostalgia, mentre cita le famose rime de La Educazione: “O mio tenero verso/Di chi parlando vai/ Che studj esser più terso/ E polito che mai?/ Parli del giovinetto/ Mia cura e mio diletto?”).

Il Contino Carlo, guarito dal vaiolo: lei scrisse un’altra ode celeberrima sull’argomento, quindi sarebbe favorevole alla fantomatica vaccinazione di massa di cui si parla in questi giorni? Quantomeno per l’anti-influenzale che il fronte dei pediatri più agguerriti caldeggia per un ritorno a scuola in sicurezza…

«Innanzitutto non perché Carlo era nipote del medico Bicetti si deve necessariamente pensare che si fosse ammalato di vaiolo: fu gravemente provato nel fisico da una misteriosa malattia, questo sì, ma si ristabilì più bello e vigoroso di prima. Gianmaria Bicetti de’ Buttinoni, uno dei più accesi promotori della pratica dell’innesto del vaiolo in Lombardia, cui dedicai un’ode nel 1765, fu assai osteggiato e sbeffeggiato al tempo: ma per me fu un eroe al pari di Cristoforo Colombo che scopre le Americhe. In essa spiego chiaramente che il fanciullo non può essere lasciato inerme dalla “superstizion del ver nemica”: “Così l’Anglia la Francia Italia vide/ Drappel di saggi contro al vulgo armarse, Lor zelo indomit’arse/ E di popolo in popolo s’accese./ Contro all’armi omicide/Non più debole e nudo;/Ma sotto a certo scudo/Il tenero garzon cauto discese,/ E il fato inesorabile sorprese”».

Ma quindi non ne usciremo più secondo Lei? Occorre davvero affidarsi all’opinione monolitica di regime? (Tremo al ricordo di quelle funeste immagini, ndr).

«Il vaiolo, se ricorderà bene, cara Signora, come ben Lei saprà essendo di Varese e quindi concittadina di quel campione degli esperimenti vaccinali che fu Luigi Sacco, è stato ufficialmente eradicato solo duecento anni dopo da quei primi esperimenti: alla metà degli anni Settanta del secolo ventesimo, e Sacco in primis operando agli esordi dell’Ottocento non vide mai la fine del percorso. Anche ammettendo che le due virulenze siano compatibili e non ne sarei personalmente così sicuro, lei pensa davvero di potersi permettere di tenere tutto questo tempo i suoi figli a casa da scuola?».

Sulle note di una comune, malinconica risata termina quest’intervista lunare con l’Abate Parini, l’Immune Italo Cigno: perché la poesia sola possiede la formula dell’incorruttibile.

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