di Roberto Gremmo – Su la Nuova Padania è in corso un opportuno dibattito sulle prospettive di un rinnovato progetto federalista nordista e, fra l’altro, si stanno di volta in volta rivalutando i suoi pionieri e gli apripista.
A me non piace che si prendano sul serio il “padanismo” ed il regionalismo sbandierato negli anni Sessanta da uomini del Partito Comunista come Fanti che agitavano le tematiche decentratrici solo perché speravano di rosicchiare fette di potere grazie alla prevalenza numerica dei loro consensi in Emilia-Romagna ma senza riempire di contenuti identitari le loro presunte illuminazioni localiste.
Da Togliatti in poi, il partito foraggiato da Mosca e consociativo con la DC fu sempre ostile alle aggregazioni locali basate sulle specificità storiche e culturali e, tanto per restare in zona, si mise subito di traverso di fronte al progetto, per molti versi validissimo, della “Regione Lunezia” , proprio perché era un territorio largamente conservatore dove loro non avrebbero potuto fare il bello è il cattivo tempo come nel “triangolo” Emiliano.
I precursori del padanismo non possono essere i disinvolti nipotini di Stalin, travestiti da difensori dei Popoli, un camuffamento che non ci deve ingannare.
Senza andare geograficamente troppo lontano, va invece riconosciuto che le più autentiche radici di un federalismo nostrano furono piantate a Como, nei giorni memorabili della Liberazione quando il 27 aprile 1945 veniva pubblicato il periodico “Il Cisalpino” animato soprattutto dal futuro deputato della Democrazia Cristiana Tommaso Zerbi. Un foglio davvero indipendente, libero e coraggioso che quasi subito doveva presentarsi come “settimanale federalista”.
Fra i principali collaboratori ebbe il giovane Gianfranco Miglio, il giornalista Pio Bondioli ma anche il nostro compianto amico Giorgio Braga che si differenziava dagli altri autori rivendicando una specifica autonomia a quello che definiva “cantone piemontese”, composto dall’attuale regione (esclusa la provincia di Novara) e Savona ed Imperia.
Il “Cisalpino” di Zerbi voleva creare “un razionale spazio geofisico, economicamente e demograficamente individuato e costituito in unita’ capace di fornire materia per una vita politica-amministrativa autonoma e fattiva, col minimo possibile di ciarpame burocratico”.
Ma questo spazio innovatore che veniva chiamato su modello elvetico “Cantone Cisalpino” doveva avere delle delimitazioni dettate dalle sue specificità perché “Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia e Tre Venezie, ossia tutta l’Italia settentrionale, nel suo insieme costituisce un’armonica unità geografica, economica, etnica e spirituale, ben degna di governare se stessa”.
Il “Cisalpino” doveva durare solo pochi mesi coi suoi redattori assorbiti dalle necessità della lotta antitotalitaria ma anche perché il prevalere del centralismo partitocratico non favoriva le idee di autogoverno dei Popoli.
Tuttavia, il primo seme era gettato.
Immagine dall’archivio storico della Fiera di Milano