Il bonus? Dall’indignazione alla rampogna…

11 Agosto 2020
Lettura 2 min

di Giuseppe Rinaldi* – Si fa un gran parlare a proposito di cinque parlamentari e qualche migliaio tra amministratori regionali e locali che avrebbero intascato dall’Inps i famosi 600 euro, poi divenuti 1000, destinati ai titolari di partite Iva in difficoltà. Ora siamo onesti, soffermandoci soprattutto sul popolo di deputati e senatori, ma chi è più in difficoltà di loro? Non sanno se saranno o no riconfermati a seguito della prossima tornata elettorale, o se saranno spazzati via dal popolo che non ne può più.

Non sanno se saranno messi in lista o se dovranno tornare ad aprire bottega ogni mattina. Guadagnano unicamente sui 15mila euro al mese netti, contando anche la “diaria” per spese di soggiorno a Roma, estesa a chi nella capitale ci abita; ma vuoi mettere le spese? Tranne pochi casi, “godono” di una disistima tale che nella classifica dei “malvisti” vengono prima degli esattori delle tasse e solo dopo gli strozzini. C’è da piangere.

Mettiamoci nei loro panni. Da settimane coniugi, figli, parenti e affini sono stati loro sul collo a convincerli di “approfittare di quest’occasione” per raggranellare qualche “eurino” in più. Che sarà mai! “E’ cosa perfettamente legale”. La parola “legale” il parlamentare ce l’ha e, pertanto, drizza le orecchie e la fantasia. “Però sarebbe un’azione inopportuna”. La parola “inopportuna” non ce l’ha, l’aveva forse una volta quando era un normale cittadino, ma non più adesso, non sa più cosa significhi. E’ come parlare di “quanti” a chi non sa di fisica; di “Materia Oscura” a chi non ha mai sentito parlare di cosmologia; di “catastrofe dell’ultravioletto” a chi facilmente la confonde con un lucida labbra; di onde gravitazionali a chi la gravità l’ha provata sulla sua pelle cadendo da una scala.

A breve sulle spiagge spopolerà il nuovo gioco dell’estate 2020: “Chi l’ha visto… l’onorevole?”. Sarà una caccia al tesoro molto facilitata a cagione dell’espressione tipica del politico. Questi porta scritto in volto: “Lei non sa chi sono io!”. Sì che lo sappiamo onorevole, altro che, se lo sappiano. E’ un griffe, un tatuaggio, una voglia, pari alla “primula viola” che l’infante erede al trono d’Inghilterra recava sulla chiappa, pardon, è quella di un sovrano, sulla natica nel film Il Giullare del re, con l’indimenticabile, per la mia generazione, Danny Kaye.

L’indignazione è assoluta, l’emiciclo romano è tutto un vibrare di accenti esecranti i reprobi, non c’è più destra o sinistra, il coro drammatico è unanime. Si attendono le prefiche. Ma fino a quando tutto ciò durerà? A breve inizieranno i distinguo anticamera del “mal comune mezzo gaudio”. Si faranno largo le lagnanze lacrimose, “non si può vivere di sola politica”. Salvini è già passato dal drastico “vanno cacciati” al più modesto “vanno puniti”. Altri lo seguiranno. E così, pian piano, i brividi febbrili dell’indignazione sfumeranno verso la sola pelle d’oca della rampogna, quindi verso il buffetto sulla guancia, per poi scolorire nell’italianissimo: “Ma che è stato mai? Anche loro tengono famiglia”.

Giuseppe Rinaldi* lettore de lanuovapadania.it

Nato in Piemonte cresciuto in Sicilia: Siracusa, Adrano, Giardini Naxos. Cavaliere della repubblica, pensionato, 46 anni di servizio presso l’Agenzia delle Entrate già Uffici Imposte Dirette. Ha scritto per Tribuna del Mezzogiorno; Gazzetta del Sud;
Il secolo d’Italia; La Padania e qualche testata locale.

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