Identità e lingua… La libertà dei popoli non passa dai partiti degli slogan

16 Marzo 2020
Lettura 2 min

di Giovanni Polli – “Un popolo / mettetelo in catene / spogliatelo / tappategli la bocca / è ancora libero. Levategli il lavoro / il passaporto / la tavola dove mangia / Il letto dove dorme, / è ancora ricco. / Un popolo / diventa povero e servo / quando gli rubano la lingua / ricevuta dai padri: / è perso per sempre”.

Con questi celebri versi, il grandissimo poeta siciliano Ignazio Buttitta ha a suo tempo saputo fotografare con grande lucidità e nitidezza il rapporto universale che da sempre ed ovunque lega l’identità di un popolo alla propria lingua, ed entrambi alla propria condizione di libertà o di schiavitù.


Ma sono gli stessi fatti della Storia e delle cronache dei nostri tempi a raccontarci senza alcun dubbio come qualunque serio percorso di autodeterminazione politica di un popolo non possa e quindi non debba prescindere da un recupero e da una nuova valorizzazione della propria consapevolezza storica, identitaria e linguistica. La lingua di un popolo, in particolare, non si configura come un mero strumento asettico e sterile di comunicazione, ma nelle sue strutture, nella sua sintassi, nelle sue frasi idiomatiche, nel suo vocabolario e, naturalmente, nella sua produzione artistica scritta e orale, veicola tutta l’essenza in divenire di ogni singola comunità umana. Così come l’identità dei suoi valori, del tutto unici, irripetibili ed irrinunciabili.


In poche parole, la lingua è la principale “carta di identità” di un popolo che si riconosca come tale.
In tutto il mondo, e per quello che ci riguarda da vicino, nell’Europa dei popoli alla quale naturalmente appartengono a pieno diritto i popoli padani, ogni comunità nazionale in lotta politica per la riaffermazione del proprio diritto a decidere di se stessa, affrancandosi dal potere dei relativi Stati di appartenenza, non può prescindere dalla rivendicazione dei propri diritti linguistici. Diritti che, a loro volta, sono costitutivi e fondanti del popolo stesso e del proprio diritto politico ad autodeterminarsi.


Questo avviene da decenni in Catalunya, in Euskadi, in Bretagna, in Galles, in Ulster, solo per citare i casi più evidenti e conosciuti. Anche la stessa Scozia, in parallelo con il processo di autonomia prima e del tentativo di indipendenza con il referendum celebrato nel 2014, sta vivendo un importantissimo risveglio, e un ritorno di interesse culturale ed economico, per le sue “lingue proprie” accanto all’inglese, vale a dire il gaelico delle Highlands e lo Scots nelle altre parti del suo territorio.


I popoli padani nelle loro articolazioni, nel loro percorso di affrancamento dai poteri centralisti di Roma e di Bruxelles, non possono quindi non seguire questa stessa strada, che è uguale per tutti i popoli in lotta per la propria autodeterminazione. Se è vero che le rivendicazioni di autonomia, federalismo, insomma di autodeterminazione in senso generale non possono fondarsi esclusivamente sulla riaffermazione dei propri diritti linguistici come elemento distintivo dallo Stato di appartenenza, è anche vero che una rivendicazione politica basata solo ed esclusivamente su criteri socioeconomici è destinata – e purtroppo i fatti degli ultimi anni lo confermano – a rimanere ferma sulla linea di partenza.


Perseverare nella sottovalutazione dell’importanza di un aspetto che caratterizza ovunque il percorso di autodeterminazione dei popoli sarebbe oggi molto grave. Questo anche perché rivelerebbe l’incapacità di cogliere, tra l’altro, gli effetti politici dell’enorme fermento sociale e della prepotente voglia di identità che proprio la globalizzazione impietosa e priva di anima stanno risvegliando dopo decenni di letargo indotto dalla cultura, dalla storia e dalla lingua ufficiale di Stato. (1/continua)

Photo by Ryoji Iwata

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