I progressisti talebani negli Usa. In Italia l’intoccabile Garibaldi se l’è cavata…

13 Giugno 2020
Lettura 2 min

di Giovanni Polli – “Iconoclastia: la dottrina e l’azione di coloro che nell’Impero bizantino, nel sec. 8° e 9°, avversarono il culto religioso e l’uso delle immagini sacre” (Enciclopedia Treccani). Questo, almeno, il senso proprio del termine.
Oggi invece il termine “iconoclasta”, ovvero distruttore di immagini, dove per “immagini” si intendono anche quelle a tutto tondo, ovvero le statue, è diventato cronaca al di fuor di ogni senso proprio o metaforico. I nuovi talebani – anche i talebani originali distruttori di statue e di Storia, così come gli iconoclasti in senso storico, erano religiosi, si noti – oggi si sentono legittimati a fare a pezzi le icone di personaggi ritenuti più o meno pretestuosamente “razzisti”, e dilagano ovunque. La religione del politicamente corretto, finalmente, si dimostra per quello che è: fede cieca in un qualcosa di “superiore” nel nome del quale si deve agire sulla base di un furore del tutto distaccato dalla ragione, con la presunzione anche questa fideistica di essere sempre nel giusto e mai dalla parte del torto.


Per chi è cresciuto con il dubbio e con l’unica fede nella crescita individuale e collettiva che non può che nascere da un confronto laico, sono tempi assai duri. Durissimi.
Da notare però che, da sempre, anche gli autoproclamati “progressisti” hanno innalzato le proprie icone al cielo. E guai a chi le tocca. Prima la bandiera rossa, poi quella azzurra con le stelle gialle. Sempre “con la ragione e mai col torto, un dio che è morto”, cantavano i Nomadi con Guccini in un momento in cui le facili certezze dei detentori del potere venivano messe in discussione. Anche se in modo del tutto gattopardesco, come ben ci saremmo accorti non troppi anni dopo.


Eppure oggi il pensiero “giusto”, quello “sempre con la ragione e mai col torto” ritiene doveroso ritirare dalla vendita cioccolatini soltanto perché si chiamano “Moretti”. Anche Amazon viene contagiata dal talebanismo che ha già condannato “Via col Vento” (film che valse il primo Oscar a un’attrice afroamericana, tra l’altro), e medita di ritirare dalla distribuzione in streaming la serie tv culto con sui si è cresciuti negli Anni ’80, ovvero Hazzard. E questo soltanto perché la iconica Dodge Charger arancione compagna di tutte le avventure di Bo e Duke si chiama “Generale Lee” e ha sul tetto la bandiera confederata degli Stati del Sud.

La demenza galoppante e globale non ha limiti. In Ghana, un gruppo di talebani locali ha divelto la statua del “razzista Gandhi”. I talebani del politicamente corretto, sui social, esultano. Non per Gandhi, forse ma per tutto il resto sì. Ci si inginocchia, si distruggono immagini, ci si appecorona tutti in un nuovo culto effimero che è religione indiscutibile, pena la condanna all’anatema, alla morte civile e la messa all’indice degli scritti eretici.
Ma sì, tiriamo giù tutti dal piedistallo, votiamoci al nuovo dogma. Distruggiamo la Storia, le testimonianze. La stessa parola “monumento”, etimologicamente, deriva dal verbo latino “moneo”, “ammonisco”. Il concetto di “monumento” è quindi un “ammonimento”, un qualcosa che sia di consiglio e di monito. Giù tutto, la Storia non ha più nulla da insegnare a nessuno. Soltanto gli italiani però, a quanto pare, sono i più conservatori di tutti: lo schiavista ladro di cavalli mercenario massone stragista ce l’hanno ovunque. Nelle vie e nelle piazze, e se lo tengono stretto.

Soltanto i napoletani hanno avuto il coraggio di iniziare a fargli qualche dispettuccio. Come quando, nel 2011, gli operai della Fincantieri di Castellammare che stavano perdendo il lavoro misero la testa del cosiddetto “Eroe del due mondi” in un posto che di eroico ha ben poco. Naturalmente lo sdegno dei benpensanti fu unanime.
Forse quegli operai erano troppo in anticipo sui tempi, o forse – più probabilmente – avevano toccato un intoccabile. Forse intoccabile addirittura più di Gandhi o di Churchill. Ci sono certi sacri dogmi che restano immutabili malgrado l’iconoclastia, oggi, sia parecchio di moda.

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Direttrice: Stefania Piazzo
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