Ce ne fossero di Cecco Beppe o Maria Teresa a Milano oggi…

22 Ottobre 2020
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di Pierluigi Crola – Leggendo su la nuova padania un commento sulle due canzoni La moglie del Cecco Beppe e Varda Giulay, vorrei specificare alcune cose (https://www.lanuovapadania.it/storia-territorio/la-satira-antiaustriaca-la-moglie-di-cecco-beppe/):

  1. non si può dare un giudizio sommario sui periodi austriaci a Milano, poiché il primo, quello di Maria Teresa, è stato l’ultimo periodo di libertà e di emancipazione, sempre in riferimento a un paese occupato. A lei si devono la fondazione del pio Albergo Trivulzio e dell’Osservatorio di Brera (1766), l’installazione dell’Archivio Civico (1768), l’installazione dell’Archivio Notarile (1771), la costruzione del Teatro della Canobiana, oggi il Lirico, nel 1772, l’istituzione della Biblioteca di Brera, della Camera di Commercio e innalzamento della Madonnina sulla guglia maggiore (1773), l’istituzione della Accademia di Belle Arti (1776), l’inaugurazione del Teatro alla Scala (1778), senza contare la lungimirante politica riformatrice e innovatrice di Maria Teresa, culminata in una serie di riforme che lasceranno il segno sulle future sorti di Milano: riforma fiscale e tributaria, della amministrazione comunale, provinciale e del Senato, abolizione della tortura e del Tribunale dell’Inquisizione, incoraggiamento delle coltivazioni nelle campagne, istituzione delle scuole primarie a Milano, formazione delle basi della futura industria lombarda, ma soprattutto il completamento del Catasto (tra il 1770 e il 1773), base indispensabile per una equa ripartizione dei tributi.

Poi è arrivata l’Italia con le guerre di annessione (che qualcuno chiama di indipendenza), i falsi plebisciti e la truffa dell’Unità accompagnata dalla oppressione del centralismo, fatti questi quotidianamente riscontrabili;

  1. lo stesso autore ricordava che Milano era vice-capitale dell’Impero Austro-ungarico: non male per una colonia;
  1. sulla figura di Radetzky, poi si sono scritte tante cose pro e contro: a me risulta che fosse generoso coi milanesi meno abbienti, che avesse una compagna milanese (la bisnonna di un socio della associazione culturale cui appartengo) e che non avesse voluto riconquistare Milano perché non aveva il coraggio di cannoneggiare la “sua” città;
  1. sul fatto poi che i milanesi volevano liberarsi degli austriaci perché avevano l’ardente desiderio di contribuire a fondare la nazione (e lo scrivo in minuscolo perché l’Italia è uno stato e non una nazione) è vero fino a un certo punto: dopo l’abdicazione di Eugenio di Beauharnais (il 26 aprile 1814), in Italia si era creato un vuoto di potere e sarebbe potuta nascere la Nazione lombarda; ciò purtroppo non fu possibile perchè i lombardi erano divisi (c’era chi sperava nell’Italia, chi sperava nel ritorno degli austriaci per continuare ad avere i vantaggi già precedentemente avuti, e chi pensava alla propria fabbrichetta e si disinteressava della politica). L’atteggiamento pusillanime di chi contava ha fatto sì che prima tornassero gli austriaci e poi il nostro paese fosse “consegnato” dagli italiani dopo la sconfitta austriaca e la vittoria francese nel 1859.
  1. A conferma di quanto scritto in precedenza sulla Nazione lombarda, nel 1815, Carlo Porta, in un suo celeberrimo componimento scriveva: “CheTocaj, che Alicant, che Sciampagn, (….) per el stomegh d’on bon Milanes ghe va robba del noster paes.” E non penso certo che parlando di paese, circa 50 anni prima dell’Unità, si riferisse all’Italia: non era un veggente, ma soprattutto non era un masochista!

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