20 ANNI Speciale Miglio 10 – Lo scienziato della libertà

10 Agosto 2021
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di ROBERTO MARRACCINI –  Il 10 agosto 2001, ci lasciava colui che non a torto può essere considerato il più grande scienziato della politica del secondo Novecento: Gianfranco Miglio.

Dai ricordi delle persone che ebbero la fortuna di conoscerlo e di lavorare al suo fianco, affiorano le caratteristiche di un pensatore fuori dagli schemi classici della politologia o – come lui stesso amava definire, visto che fu il primo in Italia a fondarne una facoltà universitaria – della Scienza della Politica. Un intellettuale infaticabile, rigoroso, sempre attento a capire, in ogni singola e minuziosa sfaccettatura, il complesso mondo della politica, con i propri rituali e schemi mentali, i propri crismi, le proprie regolarità.

La parabola discendente dello Stato moderno e il neofederalismo

In lui era fortemente radicata la convinzione che lo Stato nazionale – il vero “capolavoro dell’Occidente” come lo definiva – fosse ormai giunto alla “conclusione della sua parabola storica”. Ciò che il professore lariano insisteva nel sostenere era che, sostanzialmente, il mondo – questo in maniera inequivocabile dopo la caduta del Muro di Berlino e il crollo dell’ideologia comunista – stesse attraversando un rimescolamento nei propri equilibri, anche e soprattutto a causa del venir meno del ruolo rappresentato dallo “Stato moderno”.

Ecco allora perché, la soluzione più coerente e aderente alla linearità del suo cammino di studioso della politica e delle sue istituzioni – con il rapporto continuo tra lo Stato e il potere – non poteva che essere l’approdo alla convinzione della necessità di realizzare una vera struttura federale.

Gianfranco Miglio fu un vero federalista. Il suo accostarsi alle idee federaliste non è casuale ed ha origine fin dagli anni ’40 del secolo scorso, durante la Seconda Guerra Mondiale. Conosceva alla perfezione i testi di Carlo Cattaneo (definito dalla storiografia, il padre del federalismo italiano).

Il modello federale da lui teorizzato e avanzato come soluzione ai problemi italiani era volto alla concretizzazione di quello che definiva un “federalismo vero”. Ma per farlo occorreva, sempre come lui stesso diceva, una reale cultura federalista nella società, che purtroppo non vedeva realizzata in Italia: “Non è facile costruire un sistema costituzionale federale in un Paese che non ha assolutamente cultura federale”.

Un federalismo che, per Miglio, doveva configurarsi in maniera opposta rispetto al federalismo classico, che era utilizzato per unire delle entità preesistenti (e pluribus unum: da più soggetti ad un unico soggetto, proprio come sono nati la Svizzera e gli Stati Uniti d’America). Il nuovo federalismo di Miglio – neofederalismo – ha, invece, la funzione storica di “tutelare e gestire le diversità”, favorendo quindi “il passaggio dall’unità alla pluralità: ex uno plures : da un’unica entità sovrana, lo Stato nazionale, si giunge – dopo un processo di federalizzazione – ad un sistema costituito da più sovranità distinte tra loro ed unite da un patto federativo (il principio cardine del federalismo).

La sua proposta federale era estremamente radicale, basti pensare al Decalogo di Assago nel quale delineò un’Italia federale suddivisa in tre macroaree omogenee (Repubbliche): Nord, Centro e Sud, più le cinque Regioni a Statuto speciale attuali. Una riforma realmente federale nel suo spirito di fondo e di cui ci sarebbe assoluto bisogno anche oggi, considerata la riforma costituzionale centralizzatrice portata avanti da Renzi e dal suo Governo.

Per queste ragioni si avvicinò alla Lega Nord – di cui fu Senatore (indipendente) – perché essa, ai suoi occhi, rappresentava l’unica forza politica autenticamente orientata a realizzare una riforma dello Stato in senso federale. A tale proposito disse: “Non si può essere leghisti se non si è federalisti nelle istituzioni e liberali in economia”. Certamente, era una Lega molto diversa da quella di oggi, tutta protesa verso un nazionalismo di matrice lepenista, che nulla ha a che vedere con il federalismo e i princìpi dell’autogoverno dei territori.

Miglio studioso realista ma già proiettato al futuro

Il pensiero migliano – fortemente legato alla realtà concreta dei fatti – era improntato al cosiddetto realismo politico. Maestro di questa corrente di pensiero fu Carl Schmitt, giurista tedesco di grandezza siderale, il quale ebbe a definire proprio Miglio “il maggior tecnico delle istituzioni e l’uomo più colto d’Europa”.

Le analisi e le previsioni di Gianfranco Miglio si sono poi dimostrate – in più di una circostanza – delle vere e proprie profezie. Come semplice esempio, ricordiamo quanto scrisse nel 1993 su Limes (Rivista Italiana di Geopolitica): “La Germania oggi è in crisi. È come il pitone che ha ingoiato la gazzella e fa una fatica tremenda a digerirla. Nel giro di tre-cinque anni la ex Repubblica Federale riuscirà ad assimilare la ex Repubblica democratica. Ciò significa che la nuova Germania sarà di gran lunga la maggiore potenza continentale e deciderà del futuro assetto europeo. Essa infatti disporrà dei vantaggi di una infrastruttura moderna nell’ex Germania comunista e di un apparato produttivo senza eguali nel continente”.

Rammentiamo poi quanto scrisse nel 1991, riguardo al cosiddetto mondo arabo: “Ma hanno ormai capito tutti che il fronte filo-arabo, emerso in Europa e oltre-Atlantico punta proprio su questo risultato politico, in funzione anti-americana e anti-occidentale. Si è ricostituito, in altre parole, lo schieramento ostile al modello di società, definito sommariamente capitalistico, e in realtà basato sui valori liberal-democratici e sul mercato. Non ci sono più, a capitanarlo attivamente, l’Unione Sovietica e i partiti comunisti: al loro posto, tra la meraviglia di molti, sono venute a galla, in modo talvolta equivoco e confuso, componenti, anche cospicue del mondo confessionale. A questo punto è indispensabile che si faccia quanta più chiarezza è possibile”. Analisi semplicemente profetiche.

L’ingiusto silenzio sulle sue opere e il dovere di riscoprire il suo lascito scientifico

Il silenzio del mondo accademico sui suoi lavori e sulle sue opere è andato avanti per molto, troppo tempo, e purtroppo continua ancora, tranne rarissime eccezioni. Un silenzio che oserei definire – senza retorica – assordante e comunque ingiusto. Ingiusto perché abbiamo di fronte a noi un pensatore, uno scienziato della politica, straordinario, di livello assoluto.

I suoi scritti, in definitiva, sono – per la lucidità di analisi e la forte aderenza alla realtà dei fatti politici ed istituzionali – di una attualità sorprendente. Sembra davvero che i suoi articoli e i suoi documenti siano stati scritti in questi giorni. Anche da questo si vede la grandezza di uno studioso: la grandezza di un pensatore davvero unico.

Photo by Carlos Davila Cepeda 

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