Il professore era antipatico, perché diceva ciò che pensava e faceva quel che diceva. In un certo senso, era un “talebano culturale”: non accettava mezze misure, compromessi, giri di parole. Ogni volta che apriva la bocca, lo faceva per demolire i dogmi della modernità e affermare, novello Zarathustra, che sulle macerie del “secolo breve” poteva costruirsi una società più libera e migliore. E ha pagato per questo. Miglio non era uno che piacesse “alla gente che piace”. I suoi giudizi netti, le sue idee rivoluzionarie, la lucidità del suo pensiero hanno sempre dato fastidio. Vale la pena dunque ricordarlo per questo, in maniera tale che la sua memoria resti sempre legato alla sua limpidezza, e la sua eredità culturale non possa essere razziata dai saccheggiatori di tombe in una delle loro scorrerie ideologiche.
Al di là delle teorie politiche, ciò che emerge e si staglia con evidenza quale caratteristica principale di questa persona semplice ma coltissima, assolutamente non convenzionale, innovativa ma mai sopra le righe è senza dubbio la libertà e l’autonomia di pensiero. Il coraggio di non essere “politically correct”, in un momento in cui invece l’essere “politically correct” rappresentava, per il politico medio come per l’intellettuale da strapazzo.