11 agosto 1716, la Serenissima a Corfù respinge l’assedio dei Turchi

11 Agosto 2020
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di Ettore Beggiato* – Corfù all’epoca aveva circa 50 mila abitanti ed era adeguatamente fortificata; la Serenissima, conscia del pericolo turco, aveva affidato il comando della piazzaforte al maresciallo conte von der Schulenburg. Proveniente da una vecchia famiglia prussiana, Johann Matthias von der Schulenburg, nato a Emden di Magdeburgo l’otto agosto 1661, ha fatto i suoi studi a Parigi e all’accademia di Saumur;  nominato conte e feldmaresciallo nel 1715, nel corso dello stesso anno entra al servizio della Serenissima.  

Le ostilità iniziano l’otto luglio 1716 con l’arrivo della flotta di Mehmet Pashà e il conseguente sbarco  sull’isola di 30.000 soldati e 3 mila giannizzeri; l’ammiraglio turco ha un conto in sospeso con Venezia: fatto prigioniero durante il precedente conflitto, egli era stato condannato a remare per sette anni nelle galere della Serenissima (e poi riscattato con 100 ducati d’oro). (8)  

Schulenburg può contare su poco più di 1.500 uomini diversi dei quali senza grandi esperienze di combattimento  

L’assedio vero e proprio ha inizio il 19 luglio; i Turchi scavano una serie di trincee e bombardano la città a partire dalle alture e i corfioti devono rifugiarsi nei sotterranei.  

Ci sono assedi praticamente tutti i giorni, con ingenti perdite sia da una parte che dall’altra.  

Il 5 agosto 1716, Mehmet Pashà indirizza al Sclulenberg una lettera dal seguente tono: “Io che sono un generale onorato e sono stato scelto dal più grande degli imperatori e dal più formidabile monarca degli Ottomani, il sultano Ahmed, per conquistare l’isola di Corfù, faccio sapere a Voi, comandante della fortezza e a Voi direttore principale della guarnigione, che Sua Maestà imperiale mi ha inviato per soggiogare la predetta piazzaforte e liberarla dalle vostre mani, per abbattere le chiese e i templi consacrati al culto degli idoli e per erigervi, al loro posto, moschee e templi di adorazione.” (8)  

Concludendo la sua ampollosa missiva, l’ammiraglio esige una resa senza condizioni per evitare la distruzione totale della città.  

Corfù non si fa prendere dal panico, anzi la tragica esperienza vissuta dalle città della Morea  testimoniata da un  centinaio di sopravvissuti di Acrocorinto che hanno trovato rifugio nella fortezza, impone loro di resistere al turco ad ogni costo.  

Nella notte dell’otto agosto, i Turchi lanciano un attacco generale su tutti i fronti; riescono a superare le opere esterne e a giungere fino alle porte della città, dove iniziano la scalata delle mura con l’aiuto delle scale in legno: animati dal carisma leggendario di Schulenburg gli abitanti resistono e dopo sei ore di combattimento, il maresciallo prussiano, spada alla mano e al grido di “Per Cristo e Venezia!” tenta una sortita e sorprende in nemico sul fianco.  L’iniziativa getta nel panico gli assedianti ottomani che abbandonano le posizioni conquistate lasciando sul terreno ben 2 mila morti e 20 vessilli.  

Il giorno dopo un temporale stratosferico inonda le trincee e gli accampamenti turchi,  e danneggia la flotta della mezzaluna; il 11 agosto viene tolto l’assedio e gli ottomani reimbarcano le truppe dopo aver perduto oltre 5.000 uomini a fronte di circa 500 dalla parte di San Marco. I Corfioti parlano di un miracolo per l’intervento di San Spiridione, il protettore della città, che avrebbe scatenato la tempesta.  

Schulenburg rientra a Venezia e si gode il meritato trionfo, vengono coniate medaglie con la sua effigie e l’anno successivo la Serenissima gli fa erigere una statua davanti alla Fortezza Vecchia.  

Antonio Vivaldi compone la “Giuditta trionfante”, un oratorio militare sacro nel quale Giuditta rappresenta la città di Venezia vittoriosa su Oloferne che simbolizza il turco. Ed ecco le parole finali del coro:  

Salve invitta Giuditta prosperosa,  

Splendor di Patria, speme di nostra salute.  

Tu ver esempio di somma virtute,  

Sarai sempre nel mondo gloriosa.  

Debellato così il barbaro Trace  

Sia trionfante Regina del mare.  

E placata così l’ira divina,  

L’Adria viva e regni in pace.  

Ettore Beggiato*, giornalista e storico

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