Quindici giorni di isolamento in un B&B per evitare di contagiare la famiglia, ma solo grazie all’ospitalità di un amico. E nessun contatto con la Asl, “irraggiungibile al telefono”, né informazioni su dove e come fare il tampone per tornare al lavoro, e attraverso quali procedure. E’ la storia di Giovanna (nome di fantasia), infermiera di un grande pronto soccorso della provincia di Napoli, che dopo un malore in ospedale è risultata positiva al coronavirus Sars-CoV-2.
“La Asl mi ha totalmente ‘abbandonata’, non riesco a contattarla da 15 giorni – racconta all’Adnkronos Salute – Ho chiamato anche il primario del mio ospedale. Nessuno mi dice come e dove fare il tampone, penso che lo farò privatamente per uscire da questa situazione. Non so nemmeno come buttare la spazzatura. La spesa riesco ad averla solo grazie ai colleghi e alla famiglia”.
La sua storia assomiglia ad altre già ascoltate. Ma a fare la differenza è il fatto che Giovanna è una delle infermiere in prima linea che, lavorando in una delle strutture di pronto soccorso più grandi della provincia di Napoli, ha già affrontato la prima ondata di marzo facendo fronte con i colleghi a una situazione allora rischiosa, anche se con una pressione diversa rispetto ad oggi, ma con tutti i disagi: “Dodici ore con tuta, guanti mascherine, riducendo le pause anche per andare in bagno o mangiare, in modo da non dover cambiare di dispositivi. E la difficoltà di assistere i pazienti spaventati senza poterli toccare o rassicurarli con una carezza”, ricorda.
Un’esperienza dura che non ha scalfito la passione di Giovanna per il suo lavoro. “A marzo – spiega – abbiamo avuto meno contagi. Oggi, nel nostro pronto soccorso, per i 6 letti Covid disponibili abbiamo 22 pazienti e 3 infermieri per turno. Ad ogni ‘giro di tamponi’ uno di noi è positivo. Io mi sono infettata prima che l’ondata cominciasse a salire ai livelli che i colleghi mi raccontano. Sono ‘caduta’ prima del caos. E al momento sono 3, me compresa, gli operatori del pronto soccorso contagiati”. Giovanna, nonostante tutto, vuole tornare a lavoro al più presto. “Ora sto bene – dice – soffro più per la reclusione e per il fatto di non poter dare una mano ai miei colleghi che sono in sofferenza. Ho avuto sintomi leggeri. Ma non ho proprio idea di quale sia il protocollo per rientrare. I miei colleghi mi stanno molto vicini. E ho avuto la fortuna di trovare ospitalità grazie a un amico che ha potuto offrirmi il suo B&B. Altrimenti avrei dovuto pagare da sola un posto in cui stare senza mettere a rischio la mia famiglia”