di Roberto Gremmo – Torino ricorda la feroce strage fascista del 1922 quando le squadracce fascisti di Brandimarte assassinarono l’anarchico Pietro Ferrero, altri sindacalisti e militanti del movimento operaio e un popolano apolitico per vendicare la morte di due camicie nere, uccise probabilmente per ragioni che poco avevano da spartire con la politica.
Giusta ed opportuna la commemorazione, mi sembra si dimentichi il contesto di questa tragedia, che va inquadrata in una situazione di violenza d’una città che pagava con l’esplodere della reazione ex-combattentistica ormai monopolizzata dalle camicie nere il fallimento dell’occupazione delle fabbriche.
Sull’illusione eversiva del settembre 1920 va detto che gli operai che armi alla mano si erano impadroniti delle officine lo avevano fatto convinti fosse il primo passo per “fare come la Russia” e non, come si è spesso detto, per il controllo della produzione, propagandata dall’”Ordine Nuovo” che era un foglio marginale mentre la lotta era guidata dai sindacalisti più combattivi, primo fra tutti quel Pietro Ferrero che sarà la vittima privilegiata di Brandimarte.
I documenti inediti che ho pubblicato a suo tempo nel fascicolo “Guardie rosse sotto la mole” dimostrano che la spinta sovvertitrice partita allora da Torino si arrestò perché la mobilitazione armata non venne estesa a tutto il triangolo industriale. Questo avvenne anche per decisione di Togliatti che alla riunione decisiva dei capi socialisti fece credere che i militanti del capoluogo piemontese non fossero pronti per il grande salto per piantare la bandiera rossa su tutta Italia.
Già allora, il futuro “Migliore” di Stalin non ce la raccontò fino in fondo…
Il tragico fiasco del “biennio rosso” partito con quella sciagurata interruzione favorì la trasformazione dei manipoli marginali dei fegatosi di Mussolini in centurie armate, sentinelle dell’ordine e custodi della proprietà, che finirono per aver ragione su un movimento operaio che completava il suo riflusso autolesionista disperdendo le forze con la scissione comunista.
Per “mettere a posto” gli operai che non avevano saputo dare “l’assalto al cielo” le camicie nere fecero ricorso anche ai mezzi più brutali, e la crudele strage di dicembre del 1922 non fu un episodio occasionale.
Tuttavia, la crescita del fascismo e la sua successiva presa del potere non furono solo il prodotto delle prepotenze e delle sevizie contro gli avversari politici, ma la strada verso Roma venne aperta alle schiere del Duce dall’attiva solidarietà dei ceti egemonici massonizzati, dalla complicità dell’esercito e della Corona. Soprattutto, fu decisivo pusillanime trasformismo di molti dirigenti dei partiti operai, che molto spesso dalla sera alla mattina tolsero dalle loro sedi l’insegna socialista sostituendola con quella del fascio. Per paura, certamente, ma anche perché in Italia tutti “tengono famiglia”.