I partiti incapaci, eletti da un pugno di cittadini tesserati. Ma governano per tutti

17 Gennaio 2022
Lettura 5 min

di Giovanni Cominelli – Non c’è articolo di giornale o tweet o FB che spenda a loro favore una parola buona: sono vuoti, sono fragili, sono pulviscoli di correnti personali, sono incapaci di generare classe dirigente, sono oligarchici, sono scatole nere… Soffrono di una bassissima reputazione pubblica. Eppure, i partiti sono i protagonisti assoluti della vita istituzionale del Paese. Scelgono il Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica, i Ministri, i Parlamentari, i Consiglieri regionali e Comunali e un sacco di postazioni istituzionali nell’Amministrazione pubblica, nell’economia, nel sistema bancario… Sono il luogo del potere. Il livello degli iscritti è precipitato verticalmente, da qualche milione a qualche centinaio di migliaia.

Ma questa infima minoranza di cittadini elegge dei leader, i quali selezionano/propongono/scelgono direttamente i parlamentari con tutto quel che segue. Vero è che, fino ad ora, è la maggioranza dei cittadini-elettori che li vota, in base alla legge elettorale n.165 del 3 novembre 2017. Ma è anche vero che, una volta entrati in Parlamento, i deputati/senatori ritornano sotto la sovranità dei rispettivi partiti. Giovanni Sartori aveva ben presente i meccanismi oligarchici di selezione interna dei partiti, ma concludeva, con rassegnato realismo, che la democrazia era, tuttavia, garantita dalla pluralità dei partiti oligarchici, in forza di un’eterogenesi dei fini, per la quale un insieme di partiti a-democratici produce la democrazia. E tanto gli bastava. 

Eppure la contraddizione sussiste e si  aggrava. I cittadini-elettori non si limitano più a brontolare, mentre si recano alle urne; stanno incominciando a disertarle. Ma l’aspetto più grave è che la mala-reputazione dei partiti si trasferisce fatalmente sulla politica e, peggio ancora, sulle istituzioni rappresentative e di governo, cioè sullo Stato.  Così che la reputazione/fiducia di cui gode Draghi si deve non solo al fatto che sta governando bene, ma anche al fatto che è al di sopra e al di fuori dei partiti. E, forse, il primo fatto è ritenuto controprova positiva e conseguenza quasi automatica del secondo.
Sulle cause di questa decadenza/degrado/svuotamento dei partiti la letteratura è in crescita esponenziale. Non esiste una causa sola. Chi dà la colpa alla Magistratura, che, a partire da Mani pulite, ha messo sotto scacco i partiti. Chi ai cambiamenti sociali imponenti, indotti dalla globalizzazione, che ha scardinato la base di classe della rappresentanza, per la quale gli operai votavano a sinistra, i ceti medi DC e PRI, “i padroni” PLI. Chi dà la colpa al degrado del sistema educativo, che ha provocato una caduta della qualità del discorso pubblico. 

Chi attribuisce la responsabilità della crisi dei partiti ai Cellulari e a Internet, che hanno cambiato radicalmente le modalità di relazione tra gli esseri umani. Vero è che se la tripla elica – passioni, interessi, valori – è la costante di Planck dell’antropologia, le modalità di espressione di passioni, interessi e valori sono fortemente mutate negli ultimi vent’anni con l’irruzione delle nuove tecnologie della comunicazione. E’ totalmente cambiato il rapporto con le dimensioni del tempo e dello spazio: solo l’evento presente conta e, da subito, su scala globale. Velocità e viralità delle reazioni. Che questa caratteristica abbia segnato il modo della rappresentanza nella società civile e nella politica e, inevitabilmente, i suoi contenuti è un fatto.
In ogni caso, le cause sopraelencate hanno generato delle onde, che hanno demolito gli organismi civili e politici di mediazione tra il magma incandescente degli interessi/pulsioni/passioni degli individui da una parte e, dall’altra, la società civile e lo Stato. Gli individui si sono presentati ad alta voce, capaci di parole proprie, sulla scena pubblica – sociale, civile e statale – dotati del loro corredo di passioni, interessi e valori, così come essi sono vissuti, grezzi e immediati, aggirando Sindacato, Confindustria, Confcommercio, Partiti e Associazioni, Chiesa e Parrocchie ecc…

Il primo livello di mediazione, di screening e di addomesticamento degli interessi, che nelle società civili complesse si realizza già a livello del “sistema dei bisogni” è saltato. La società civile si è rovesciata come tale nella vociante e rissosa agorà ateniese, nella quale, appunto, la democrazia era diretta, benché riservata a pochi. Nell’agorà dell’Infosfera non ci sono partiti, ma fazioni legati ad una persona. La saldatura tra interessi di singoli e il leader è immediata, ma anche provvisoria e reversibile. La storia greca della seconda metà del 400 a. C. offre l’esempio illuminante dell’ateniese Alcibiade. Più di un Alcibiade nostrano ne ha calcato le orme in questi nostri anni.
C’è però una differenza tra il malfunzionamento della mediazione che accade tra gli individui e le istituzioni della società civile rispetto a quella tra società civile e stato.

Consiste nel fatto che i partiti non sono soltanto mediatori tra società civile e Stato, sono anche un’articolazione fondamentale dello Stato politico: sono terminus a quo, ma anche terminus ad quem. Lo sono per storia e per Costituzione. Ed è la ragione per la quale continuano a stare in piedi, pur essendo progressivamente sradicati e svuotati di contenuti socio-civili. Se “il potere statale” diviene l’unica stampella cui appoggiarsi, allora i partiti possono tranquillamente dimenticarsi del radicamento nella società civile della propria missione di mediazione rispetto allo Stato, in nome del Bene comune. Questo ha portato ad una duplice degenerazione: all’esaltazione/rappresentanza corporativa degli interessi particolari, per un lato, e alla statalizzazione dei partiti. Questo mix ha reso più difficile e instabile il governo del Paese fin dagli anni lontano della Prima repubblica. Il ricorso a Draghi è solo l’ultimo episodio di questa impotenza di politica e di governo. Temendo di essere travolti dall’emergenza-Covid, hanno accettato che la politica la facesse il Presidente della Repubblica, quando ha loro imposto Draghi.

D’Alema vede, con sicumera degna di tempi migliori, “nel draghismo un’esplosione di spirito antidemocratico”, rappresentante di una borghesia “che vuole congelare lo stato di eccezione”. Al netto della rozza analisi di classe e dello schmidtismo di risulta del succitato, viene in mente la favola di Fedro: “Superior stabat lupus…”. D’Alema, partitologo e  partitocentrico, si fa portavoce di quell’ideologia partitocratica che, essendosi dimostrata incapace di costruire un normale governo democratico del Paese, accusa il Presidente Mattarella di avere inquinato con il proprio eccezionalismo il ruscello della democrazia! 

Partiti da eliminare, dunque, come gli inutili capannoni dell’archeologia industriale? Comunque si nomini l’ente mediatore, di mediazione c’è urgenza. La moltitudine degli individui dell’Infosfera non si trasforma automaticamente in “popolo” e in “cittadini”, ma, senza tale metamorfosi, la società civile diventa un’arena selvaggia e brutale. Per tornare a svolgere efficacemente la propria funzione di mediazione tra società civile e Stato, i partiti devono trasformarsi profondamente.

La prima operazione, rivolta verso la società civile, consiste nel “lavorare la società civile”, usando il filtro di una visione del mondo e degli strumenti del sapere umanistico e scientifico. Il sapere sociale dei partiti si è ridotto al lumicino, sostituito da informazioni labili e passeggere. Hanno orecchie solo per chi grida, non vedono i mutamenti profondi, che avanzano senza urlare. La seconda operazione è rivolta verso lo Stato. Ricostruire le forme della rappresentanza e quelle del governo, affidando direttamente ai cittadini la scelta dei rappresentanti e del governo. Liberati dallo Stato e immersi nella società civile potrebbero finalmente educare alla statualità e proporre alle scelte degli elettori una classe dirigente degna di tale nome. Più società civile, meno Stato. Difficile che questo accada senza la mobilitazione dei cittadini.

Per gentile concessione dell’autore, da santalessandro.org

GIOVANNI COMINELLI

Giovanni Cominelli laureato in filosofia con Enzo Paci. Consigliere comunale a Milano nel 1980 per il Pdup, consigliere regionale dal 1981 al 1990 per il Pci. Dal 1985 al 2000 responsabile scuola del Pci-Pds-Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola. Membro del Gruppo di lavoro per la valutazione, istituito nel 2001 dal ministro Moratti, fino al 2004. Dal 2002 al 2004 membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi, poi consulente per la comunicazione fino al 2005. Dal 2003 al 2005 ha organizzato la manifestazione Job&Orienta dedicata all’istruzione. Membro del Cda dell’Indire dal 2005 al 2006, è stato responsabile delle politiche educative della Cdo dal 2005 al 2007 e della Fondazione per la Sussidiarietà fino al luglio 2010. Ricercatore presso il Cisem nel 2010. Collabora a Nuova secondaria. Ha scritto di politiche educative sul Riformista, Tempi, Il Foglio, Avvenire, Il Sole 24 Ore e i libri La caduta del vento leggero (2007) e La scuola è finita… forse (2009)

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