Harvard boccia Lombardia. Troppo attaccata a linee guida di Roma

1 Aprile 2020
Lettura 3 min

di Benedetta Baiocchi – Non sono solo i numeri dei contagi tra i sanitari a mettere in discussione la linea lombarda dei tamponi “non per tutti”. Ma solo secondo le indicazioni dell’Istituto superiore di sanità. La pandemia miete vittime nelle case di riposo, individuate proprio dalla Regione anche come luogo per spostare in padiglioni separati i pazienti di Covid dimessi dagli ospedali. Mentre non si è in grado di fermare i contagi nelle rsa…. Insomma, è polemica. Ora viene diffuso uno studio di Harvard che boccia l’approccio lombardo. In un recente servizio pubblicato da businessinsider, vengono messi a confronto i dati del Nord.

“Perché il Veneto registra solo 8.358 casi totali di contagio da Corona virus e la Lombardia supera i 41.000? E ancora, perché in Emilia-Romagna il totale degli ospedalizzati si ferma a 4.102 persone, mentre in Lombardia sono 12.941? Ma, soprattutto, perché nella Lombardia di Attilio Fontana si sono registrati 6.360 deceduti, contro i soli 392 del Veneto e i 1.443 di Emilia-Romagna?”.

Che sia non corretto l’approccio alla pandemia?

Una risposta univoca non c’è, tuttavia è chiaro che la più ricca ed europea tra le regioni italiane ha completamente sbagliato approccio alla pandemia.

“E, ancora più grave, anche alla luce delle fredde evidenze matematiche, fa fatica ad abbandonare un approccio incentrato sull’ospedalizzazione di massa (sono 12.941 gli ospedalizzati lombardi, contro i 4.102 dell’Emilia e i 1.941 del Veneto), a favore di uno basato su assistenza domiciliare (come ha fatto Bonaccini) o sui tamponi a tappeto tra la popolazione (la scelta di Zaia)”.

Che ne pensano gli osservatori esteri?

Sulla rivista Harvard Business Review, è stato pubblicato il dossier “Lessons from Italy’s Response to Coronavirus”, a firma Gary P. Pisano, Raffaella Sadun e Michele Zanini.

In sostanza, l’Italia è stata la prima nazione, dopo la Cina, ad affrontare l’emergenza. Sottovalutata. E già siamo a due punti a sfavore. Il terzo viene dalle diverse modalità di approccio al fenomeno. Ciascuna regione ha agito diversamente, mentre Roma diceva altro. Le regioni, secondo Harvard, hanno provato ad anticipare, perché vicine al problema, la risposta all’emergenza, pur subendo inizialmente la reprimenda dei ministeri e del governo.

Tuttavia c’è chi, in questa corsa scomposta, ha fatto meglio o ha fatto peggio.

“In particolare, lo studio ha effettuato una comparazione tra le attività di contrasto alla malattia intraprese da Lombardia e Veneto, due regioni con profili socioeconomici simili – sebbene la Lombardia abbia il doppio degli abitanti del Veneto, 10,5 milioni contro 4,9 milioni -, che però hanno abbracciato strade divergenti. La diversità dei dati (e delle vittime), secondo lo studio, è riconducibile al fatto che la regione di Zaia ha adottato un approccio molto più proattivo al contenimento del virus, puntando:

su test approfonditi su casi sintomatici e asintomatici precoci (i tamponi effettuati sono stati 94.784); tracciamento dei potenziali positivi; sul fatto che se qualcuno è risultato positivo, sono stati testati tutti i presenti nella casa di quel paziente, nonché i vicini; che se i kit di test non erano disponibili, le persone si sono messe in auto-quarantena volontaria”.

Su questo la Regione Lombardia non risponde al mittente.
In più sia il Veneto che l’Emilia Romagna di Bonaccini hanno organizzato diagnosi in loco e assistenza domiciliare.

Cosa ne pensa lo studio di Harvard? Che “è necessario passare con urgenza da modelli di assistenza centrati sul paziente a un approccio basato sul sistema comunitario che offra soluzioni per l’intera popolazione (con un’enfasi specifica sull’assistenza domiciliare)”.

In questo caso, chiedere ai lombardi con sintomi quale sia stata la risposta dei medici di famiglia o delle asl. “State a casa, tachipirina”. Fine delle trasmissioni.

Altro tallone d’Achille gli ospedali. Luoghi privilegiati di contagio. Bergamo e Brescia, ma ancora Cremona, Codogno ne sono esempio.

La Lombardia insomma, ha eccelso nel seguire “le indicazioni delle autorità sanitarie del governo centrale”, sottolinea lo studio, ovvero:

limitare i test, operare sui sintomatici, “investimenti limitati in tracciabilità proattiva, assistenza domiciliare, monitoraggio e protezione degli operatori sanitari”.

La Lombardia è e resta in testa a contagi e decessi. Certo, sono solo coincidenze.

“Il fatto che politiche diverse abbiano prodotto risultati diversi in regioni altrimenti simili avrebbe dovuto essere riconosciuto fin dall’inizio come una potente opportunità di apprendimento”… “I risultati emersi dal Veneto avrebbero potuto essere utilizzati per rivedere velocemente le politiche regionali e centrali. Tuttavia, è solo negli ultimi giorni, un mese intero dopo lo scoppio dell’epidemia, che la Lombardia e altre regioni ha iniziato a prendere provvedimenti per seguire alcuni degli aspetti dell’approccio veneto”.

Poi, ancora.

“Mentre i successi emergono facilmente grazie ai leader desiderosi di pubblicizzare i propri progressi, spesso i problemi vengono nascosti a causa della paura della punizione o, quando emergono, vengono interpretati come fallimenti individuali – piuttosto che sistemici”, sottolinea lo studio.

E Businnesinsider aggiunge: “Per esempio: il premier Conte aveva accusato l’ospedale di Codogno (Lodi) di aver gestito in maniera poco prudente il primo paziente Covid. “Tuttavia, – sta scritto nel report – un mese dopo è diventato chiaro che quell’episodio era emblematico di un problema molto più profondo: ovvero che gli ospedali tradizionalmente organizzati per fornire cure incentrate sui pazienti sono mal equipaggiati per fornire il tipo di assistenza focalizzata sulla comunità necessaria durante una pandemia”.

Photo by Christopher

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