Camici e bonus, sempre a loro insaputa

12 Agosto 2020
Lettura 2 min

di Stefania Piazzo – C’è un comune denominatore tra la vicenda dei camici lombardi, la cui commessa era stata fatta a insaputa del governatore Attilio Fontana, e i bonus richiesti e/o incassati da consiglieri regionali e parlamentari, per colpa dei commercialisti, sempre a loro insaputa. E’ l’insaputaggine.

L’ignoranza per legge non è ammessa, in politica invece sì. Ignorare ciò che sta accadendo mentre si movimenta merce per 500mila euro è un diritto, è un dato di fatto. Idem non rendersi conto che stanno per arrivare 600 euro previsti per legge a chi fa richiesta dell’aiuto per aver fatturato di meno. Poi scatta la beneficienza. Per i camici il governatore ha provato a ripagare di tasca sua, attraverso un bonifico di 250mila euro poi bloccato, il mancato guadagno del cognato che aveva donato la merce. Occorreva in qualche modo risarcire. Per i bonus i consiglieri hanno affermato che poi hanno regalato i soldi. Hanno risarcito anche loro. L’insaputaggine alla fine si prodiga per il bene comune.

E’ sempre tutto rigorosamente a insaputa del politico. Che esibisce tutto il suo senso di colpa se serve. Dai camici ai bonus per colpa degli altri, esce la fotografia del sistema. Che sbaglia per il bene comune, che fa il sacrificio di tirarsi indietro per il bene comune, che applica la legge, ma pensa sia un regolamento politico dei conti, ma è “apposto” con la coscienza… Che invoca l’onestà in un paese di corrotti e paga per tutti in nome del senso dello Stato… Che difende la propria condotta come benemerita in un mondo di illeciti.

Insomma, è la morale del sistema, che cura l’interesse del gruppo, puntello e giustificazione di ogni azione. E confonde per stanchezza del ruolo il privato con il pubblico, per una mera distrazione o errore altrui, si badi bene.

Poi accanto a questi eroi moderni, onesti politicamente e moralmente, ci mettiamo anche un’altra categoria degli onesti, come la definiva Italo Calvino, i comuni cittadini. Una categoria “segreta”. Scriveva Calvino:

“Erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile”. Grazie Calvino.

Photo by Ante Hamersmit 

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