di Stefania Piazzo – Sono troppe. Sono nate 50 anni fa e ancora sono incompiute. Ma sopratutto sono cambiati i tempi, le relazioni, la geografia e la politica. Aree omogenee potrebbero affrontare meglio la competitività e rappresentare di più un paese disorganizzato. Il più “spinto” tra gli esponenti del centrosinistra italiano affronta la questione dal meeting di Rimini. Ecco cosa afferma il governatore emiliano, Stefano Bonaccini:”Sarei d’accordo alla discussione sulla revisione del numero delle regioni italiane: è evidente che nel corso dei decenni ci sia stato un tema di squilibrio geografico e di composizione numerica delle popolazioni: anche la dimensione può fare la differenza nella competitività”.
Ma è solo competitività o anche questione di responsabilità di spesa e di competitività fiscale sul modello svizzero?
Bonaccini qualche indizio su come la pensa lo lascia.
“Sul Recovery fund serve il contributo di regioni e comuni nei prossimi 3 anni: la velocità oggi non è più indifferente dalla possibilità di fare buone scelte. Quando sento parlare di contrapposizione troppo forte tra Stato e Regioni durante la pandemia – prosegue – vorrei ricordare che il 95% delle ordinanze è stato conforme ai Dpcm emanati dal Governo. Se non ci fosse stato il contributo delle Regioni, nessun governo centrale ce l’avrebbe fatta”. A proposito delle risorse, Bonaccini afferma che “non vogliamo un euro in più, ma siamo presuntuosi sul fatto che risorse qui su alcune funzioni sarebbero gestite in modo migliore rispetto a quanto fatto da Roma”.
E più precisamente…
“Il sistema sanitario è nazionale, certo servono parametri e certezze di regole per tutti e va irrobustito, ma se qualcuno viene in questa regione a dire che la sanità nei prossimi anni dovrà essere gestita da Roma troverà l’opposizione, non solo di Bonaccini, ma degli emiliano-romagnoli. Il sistema sanitario pubblico di questa regione è tra i migliori al mondo e noi ce lo teniamo così com’è, anzi, lo vogliamo migliorare”.